lunedì 28 ottobre 2024

Anabasi: l'avventura dei diecimila

 

Si può leggere un classico  come se fosse un libro  d'avventura?

Quando mi proposero  di  leggere l'Anabasi di Senofonte (con tanto  di  testo  greco a fronte, lingua a me conosciuta quanto lo swahili ), devo  confessare di  avere avuto qualche dubbio, poi, seguendo  il suggerimento di  affiancare alla lettura un atlante storico per seguire passo  dopo  passo (o quasi) l'epopea dei  soldati  greci  che nel 401 a.C..... 

Anabasi: un piccolo riassunto

Nel 401 a.C. diecimila soldati  greci seguirono Ciro  il Giovane in Persia la cui  intenzione era quella di  spodestare il fratello Artaserse II dal  trono.

Fra i  diecimila figurava anche Senofonte, aristocratico cavaliere e filospartano, nonché discepolo  di  Socrate.

L'impresa di  Ciro  fallisce con la battaglia di Cunassa (in cui  lo  stesso  Ciro  troverà la morte): l'esercito  greco entra in una fase di  sbandamento poiché non ha nessuno alla guida in quanto  tutti  gli  strateghi  sono morti.

Ben presto, però, grazie alla loro  disciplina e coraggio si  riorganizzano eleggendo  nuovi  capi fra cui, appunto, Senofonte.

I diecimila iniziano  così una lunghissima marcia per ritornare in patria, attraversando tra pericoli  e difficoltà (compreso l'avvelenamento  da miele tossico  dovuto dal  nettare di  alcuni  fiori  della famiglia delle Ericacee*) la risalita di  parte del Tigri, il Kurdistan e le montagne dell'Armenia, fino  ad arrivare alle sponde del  Mar Morto e da lì fino in Tracia.

* << in questo paese ci sono molti alveari e quei soldati che hanno mangiato del miele perdono tutti la ragione, vomitano, nessuno ha la forza di tenersi in piedi. Quelli che ne hanno mangiato poco sembrano completamente ubriachi, quelli che ne hanno preso molto sembrano pazzi furiosi o anche moribondi. Così molti restano distesi al suolo come dopo una sconfitta e la costernazione è generale. L’indomani tuttavia nessuno muore e poco a poco tutti alla stessa ora recuperano la ragione. Il terzo giorno e il quarto possono reggersi sulle gambe, come riprendendosi da un avvelenamento >>
Il percorso dei  diecimila greci nell'Anabasi (fonte Wikipedia)

 Anabasi: la struttura del libro 


 

 Tralasciando  a quale genere letterario possa appartenere l'Anabasi, per alcuni  studiosi  si  tratta  del primo  scritto  di  memorie di  genere militare, la sua struttura  è composta da sette  libri: il primo  dei  quali è l'Anabasi (la marcia verso l'interno) che darà il nome all'intera opera, i rimanenti  sei  libri sono  dedicati  alla Catabasi  (marcia verso  l'esterno) e Parabasi (marcia lungo  la costa).


Il testo  dell'Anabasi è giunto  a noi  attraverso una decina di  codici che gli  storici  dividono in due famiglie: la famiglia c che comprende quattro  manoscritti risalenti  all'incirca al 1462, la seconda chiamata con la lettera f che comprende un numero  maggiori di  codici antecedenti  alla prima famiglia.





lunedì 7 ottobre 2024

I Paesi invisibili ovvero quella Italia dimenticata

Quando Michele Cortese, maestro elementare che per propria volontà chiede il trasferimento da Roma a uno  sperduto  paesino  della Val  di  Sangro, cerca di convincere una coppia di  genitori  che la scelta del  figlio  di restare lì dove  non c'è  futuro, lo  fa citando il testo dell'antropologo  culturale Tito Levi e il significato della filosofia dietro  alla parola restanza.

Ai  genitori  non resta che mettere in luce le contraddizioni insite  in una pura idealizzazione di modello  di  vita, cioè non bastano quei  pochi  giorni o periodi  di poco  più lunghi di vacanza, per comprendere le difficoltà alle quali  vanno incontro  chi  abita i Paesi invisibili .

Naturalmente avete compreso  che il riferimento  è ad una scena del  bel  film Un mondo  a parte di Riccardo  Milani, magistralmente interpretato  da Antonio  Albanese e Virginia Raffaele (senza dimenticare gli  altri interpreti meritevoli al pari dei  protagonisti  principali). 


Per quanto  riguarda   il libro  di  Tito Levi La restanza, non avendolo ancora letto, mi  accontenterò come voi di  questa anteprima per decidere su  di un possibile acquisto  dello  stesso.



I paesi invisibili di Anna Rizzo 




Diciamolo  subito: la professione di antropologa culturale non è per tutti: i  sacrifici  che bisogna affrontare sul campo riguardano l'isolamento dei luoghi  visitati  (quei Paesi invisibili del  titolo del libro), essere ospitati in case gelide senza riscaldamento (in inverno) e mangiare proverbialmente quello  che passa il convento.

Anna Rizzo antropologa culturale

Bastano le prime righe del  libro, l'incontro con un'anziana debilitata che vive in una casa oltre il limite di ogni  povertà, dove l'odore di urina, feci  e putrefazione (parole  dell'autrice) travolgono la visitatrice, per far comprendere la passione che bisogna avere per intraprendere la carriera di antropologa culturale.

Tanto più che questo incontro, come tanti  altri  ancora descritti nel  testo   non avviene in qualche parte sperduta del  Terzo  Mondo, ma qui , nella nostra Italia, magari in luoghi semi  abbandonati a qualche centinaia di  chilometri  in linea d'aria dalle metropoli o posti nei  quali  l'overtourism è un male a cui  difficilmente, per interessi  economici, si  vuole rinunciare.

E' vero: esistono  anche paesi rappresentati in maniera a uso  e consumo del  turista, paesi  che fanno  da sfondo ai  selfie, negozi che vendono  paccottiglia a forma di  souvenir, luoghi  dove la cucina viene spacciata come quella tipica.

Anna Rizzo  invece parla di luoghi  dove non sembra viverci  nessuno eppure, ben 13 milioni di nostri  connazionali, vivono.

Tredici  milioni di italiani che giorno  per giorno  devono  combattere per avere quello  che nel  resto  del  Paese è cosa normale: quindi i servizi, le scuole, un presidio  sanitario, una biblioteca, luoghi per la socializzazione.

Con il tempo che avanza questi  cittadini continuano a vivere la loro  storia di  resistenza affinché anche la loro  realtà non venga mai  dimenticata. 

 Forse questo  è il significato  della parola restanza.



   

domenica 22 settembre 2024

Sulle orme dei templari a Saliceto

 

Saliceto  (foto © caterinAndemme)

Saliceto oltre l'esoterismo (un incontro  fortuito) 


Saliceto oltre l'esoterismo (5° tappa GTL) è il titolo  che ho  dato al post scritto  su  IL blog di Caterina per evidenziare un incontro  fortuito  al  termine di un'escursione che, dal  borgo della Val  Bormida di  Millesimo (ma siamo in provincia  di  Cuneo), mi  ha condotto al  Santuario  dell'Assunta di  Gottasecca.

La mia intenzione era quella di  corredare l'articolo con delle immagini  del  castello  di  Saliceto posto  sull' antica Via del Sale, tra Piemonte e Liguria, inizialmente appartenuto al  vescovo di Savona, poi al  comune di  Asti e, infine, dal 1251 al 1532 alla famiglia Del Carretto ( in seguito Carlo  V donò il castello ai  Savoia).

(Immagine © caterinAndemme)

La storia del  castello non si  ferma, ovviamente a queste poche righe, posso  solo  aggiungere che nel 1689 il castello fu  assediato dall'esercito  spagnolo e raso  al  suolo, dopodiché, una volta restaurato, ci pensò Napoleone a farne nel 1796 un suo  quartiere generale: alla fine, quello  che possiamo  vedere oggi è il risultato  di  successive ricostruzioni che lasciano comunque in vista i  caratteri  tipici delle architetture fortificate.

A questo punto svelo  quale sia stato l'incontro  fortuito del  sottotitolo:

Pretendere di  trovare un castello  aperto ai  visitatori  fuori  dall'orario  di  visita,  per di più in un qualsiasi  giorno  feriale, rientra pienamente in quella categoria definita come le  pie illusioni:  fatto  sta   che la sottoscritta, pur non vivendo  di illusioni, sa che in qualche modo  la testardaggine a volte viene premiata e quindi il caso  ha voluto  che, nel momento in cui volgevo le spalle al portone chiuso, questo  si apre facendo uscire una simpatica persone che mi chiede: <<Vuole visitare il castello?>>.

Guido  Araldo

Quello che diverrà la mia guida per più di un'ora è Guido  Araldo, autore di più di  quaranta libri (quarantotto  per la precisione,  sempre che nel  frattempo non ne  abbia scritto altri), attento  studioso che ha incentrato  le sue ricerche sulla presenza dei  templari nel  Nord Ovest dell'Italia e sulle Alpi con una particolare attenzione a quattro  siti ed esattamente: l'Abbazia di Staffarda, il castello della Manta, la Sacra di  san Michele ma, soprattutto Saliceto definito (da l'autore, s'intende) il più straordinario paese esoterico  al mondo, con reperti  quali affreschi, bassorilievi e quadri  databili  dal 1300 al 1800 che palesano informazioni  iniziatiche uniche a chi  sappia vedere e non solo  guardare.   


Il mistero  di  Saliceto  è l'opera in cui  si palesa tutta la passione dell'autore per la materia dei  suoi  studi, nello specifico fornisce appunto  quelle informazioni  che solitamente al  visitatore sono precluse.

Si  entra nel  campo  dell'esoterismo e qui Guido Araldo mette subito in chiaro che non vuole convincere nessuno a riguardo, ma che il suo punto  di  vista (condivisibile o meno) ha il pregio di un'attenta analisi  dei  fatti, gli stessi  che raccontano un altro modo  di intendere la storia.

  




martedì 27 agosto 2024

Le prime albe del mondo di Marco Albino Ferrari

 In Liguria dal  mare si  vedono  le montagne e viceversa 



Ad un certo punto  leggo  nel  libro  di Marco  Albino  Ferrari Le prime albe del  mondo una domanda curiosa che più di una persona, una volta arrivati  in cima al  Monte Bianco, gli pone e cioè:

<< Da qui  si  vede il mare?>>.

Tralasciando  eventuali lacune  a riguardo della geografia e rovesciando il punto  di  vista, potrei  dire in alcune parti della Liguria costiera  dal  mare si possono  vedere le montagne.

Naturalmente avete compreso  che se ho  tutto  questo interesse per la Liguria è perché ci  abito.


  Il territorio  della Liguria  si  divide tra montagna e collina, lasciando  una striminzita striscia costiera ai  vacanzieri marini, quindi, paradossalmente, la si può definire una regione montana.



 Nelle foto  il rifugio  della Casa della Miniera e un tratto  di  sentiero riguardante l'Alta Via dei Monti  Liguri  nel Parco Naturale Regionale del Monte Beigua.

Le prime albe del  mondo  di Marco Albino  Ferrari


Mi piace il modo di scrivere appassionato  di  Marco Albino  Ferrari,  come del  resto mi piaceva la linea editoriale che aveva imposto al mensile Meridiani  e Montagne (da lui  fondata e diretta) e che, secondo  me, ha perso smalto  da quando lui l'ha abbandonata.

Le prime albe del  mondo  non dovrebbe mancare tra coloro  cha amano  la montagna: io  stessa,  camminatrice e non certo  alpinista, mi sono immedesimata in quelle storie di uomini  e donne che, dietro  alla spinta verso l'ignoto e la conoscenza, hanno percorso in passato i luoghi  inesplorati  della Terra.

Ho seguito i passi  di  Walter Bonatti, quelli  di  Reinhold Messner, di  Ninì Pietrasanta, di  Loulou Boulaz...

Ho avuto un brivido leggendo la fine tragica di Giusto Gervasutti quando il 16 settembre 1946, insieme al  suo  compagno  di  cordata Giuseppe Gagliardone, tentano  di  salire sul   Mont Blanc du  Tacul ma devono  rinunciare per il maltempo: 

<< Gervasutti fugge come un lampo verso il vuoto, precipita con le braccia che annaspano impotenti nell'aria,, sparendo nell'abisso  trasparente>>

E' anche in parte la storia dell'autore, di  come divenne direttore della prestigiosa rivista Alp (purtroppo da anni non più in edicola), curatore della collana I Licheni e autore di molti  altri libri  tra cui Frêney 1961; Il vuoto  alle spalle; Terraferma; In viaggio  sulle Alpi; La via del lupo.

 

Piccole curiosità

Dai libri  si impara  sempre,  anche quelle piccole cose alle quali non si è mai  pensato in precedenza.

A esempio da Le prime albe del mondo ho imparato  che la parola safari ha origini  arabe e che in lingua swahili significa viaggio  a piedi.

Ben più importante è la conoscenza della Tesi  di  Biella quando, nel 1987, si  era discusso appunto  a Biella presso  il Teatro  sociale, il modo di progettare  azioni spettacolari al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sui  problemi  relativi  all'inquinamento e alla crisi  ambientale.

Ben prima della azioni degli attivisti  di ultima generazione.




mercoledì 31 luglio 2024

Ahi, ahi....Mr. Bryson: I didn't have fun this time

 


Bill Bryson è sempre.....Bill Bryson

Sennonché in questo sua opera (?) Piccola grande isola, il seguito  di Notizie da un'isoletta ( libri entrambi dedicati all'Inghilterra), più che il Bill Bryson che tanto  mi ha divertito  nei  suoi precedenti libri  (che ovviamente ho  letto), ho trovato il personaggio  di un vecchietto piuttosto  rancoroso  che spara a zero su  tutto  e tutti. 

Qualche esempio?

A pagina 145 a proposito  di internet  e degli informatici scrive testualmente:

<<D'altra parte internet è così: non è che un ammasso  di informazioni digitali, senza cervello e senza sentimenti: in effetti, proprio  come gli informatici>>.

A pagina 156 è in disaccordo con l'autore di un articolo pubblicato  sulla rivista Economist riguardanti le cinture verdi intorno  alle città,  giudicandolo "idiota, pomposo, saccente".

Va bene, forse sto  esagerando  e questo suo libro non mi è particolarmente piaciuto, ma cosa dire quando lui  ride (o  vuol  fare ridere) delle sue flatulenze.

Infatti, parlando della sua  visita a Blenheim (monumentale residenza di  campagna a Woodstock  nell'Oxfordshire) descrive la sua prodezza: 

<< ....a peggiorare le cose, nel nostro  gruppo c'era qualcuno  che stava mollando  scorregge tanto  silenziose quanto letali. Fortuna volle che fossi io, quindi  non ero neanche lontanamente infastidito  come gli  altri>>.

Immagine che una simile confessione abbia suscitato in più di un lettore (ma anche in qualche lettrice) delle grasse risate, da parte mia spero  di non incontrare mai  Bill Bryson al  chiuso in un museo.....

Togliendo  il cinquanta o sessanta  per cento  delle pagine del libro scritte con questo tenore, il restante può bastare per una  una lettura sotto l'ombrellone.




lunedì 15 luglio 2024

Quattromilaottocentocinque metri sotto il cielo

Immagine ©caterinAndemme

Un quasi  prologo 

 Qualche anno  fa mi  cimentai nel  Tour du  Mont Blanc, impresa interrotta dopo  qualche tappa per il poco  tempo  a disposizione e per il maltempo allora incombente.

Enrico  Brizzi, decisamente più fortunato, insieme ai  suoi  amici ha completato  il Tour descrivendolo  nel  suo libro  L'estate del Gigante.

Ovviamente il titolo  di  quest'articolo, riferito  ai 4.805 metri di altezza (comunque sempre sotto il cielo) , si  riferisce alla cima del  Monte Bianco. 

 Quando  si parla di Monte Bianco e dei  suoi  primi scalatori, sono  sempre gli uomini  ad essere menzionati: Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard (quest'ultimo poi  discriminato da certa stampa  di  allora fu  presto  dimenticato) furono i primi  ad arrivare in cima l'8 agosto 1786.

Ma le donne?

Isabella Straton 

Ebbene la prima ascensione invernale assoluta fu proprio  una donna ad effettuarla il 31 gennaio 1876: Isabella Straton ( a dire il vero l'impresa venne compiuta insieme a suo  marito Jean Charlet).

Marie Paradis

Andando, però, indietro  negli  anni e cioè risalendo al 14 luglio 1808 troviamo Marie Paradis (insieme al  figlio  e a Jacques Balmat) in cima al  Monte Bianco: in verità la storia ci  racconta di un'ascesa tormentata da parte di  Marie che, comunque, in seguito  si aggiudicò il soprannome di  Marie du  Mont Blanc, oltre al  ricordo postumo con dedica di  una scuola a Saint-Gervais-les-Bains, la passeggiata che costeggia il fiume a Chamonix, una strada a Valence e una a La Roche-sur-Yon, un vicolo ad Annecy, una palestra a Parigi  e una a Blainville-sur-Orne.  

Per concludere questa rapida carrellata sui  personaggi (quasi) dimenticati dalla storia delle ascensioni  sul  Monte Bianco e per dare anche un motivo  di orgoglio  ai  nostri  amici  a quattro zampe (ammesso che a loro  interessi) il primo cane che mise la propria zampa in cima al  Gigante fu quello  che accompagnò l'alpinista Michel  Belmot il 23 agosto 1837 (non è dato  a sapere quanti  croccantini si  guadagnò il fedele amico  dell'uomo).

L'estate del Gigante di  Enrico  Brizzi

 


Come nei  precedenti  libri  di  Enrico  Brizzi, anche qui l'autore nel  suo  Tour du  Mont Blanc è accompagnato  dagli  amici già visti in altre occasione letterarie.

Sono un gruppo  di persone che tra loro si  chiamano Buoni cugini e si  definiscono  Psicoatleti: a dire il vero ad oggi non ho ancora compreso  se essi  siano  personaggi  fittizi (come la svalvolata e molto  bistrattata Zara di  questo  libro), oppure reali, ai quali sono stati appiccicate note caratteriali a uso per il racconto.

Sennonché, incuriosita dagli psicoatleti, ho  fatto una ricerca in rete (googlare direbbe qualcuno,  ma sinceramente tale termine lo  trovo  alquanto  ridicolo) trovando  che esiste davvero l'Associazione Psicoatleti e che tale nome compare per la prima volta nel 2004 sul blog di  Enrico  Brizzi archiviomagnetico (una storia più completa si trova sul libro  di Brizzi del 2011 appunto intitolato Psicoatleti).

Sempre sul  sito degli Psicoatleti si riferisce  che già nel 1861 in Italia, precisamente a Torino, venne fondata la Società Nazionale di  Psicoatletica per incentivare il cammino  a piedi  in quella nazione appena nata, appunto l'Italia.

Oggi l'Associazione Psicoatleti  si  occupa di  organizzare trekking ed ha una propria fanzine con il programma annuale e le modalità di iscrizione (la fanzine è scaricabile in versione pdf da questo link).


L'estate del  Gigante non è solo  il racconto  di un viaggio in quelle che sono definite Terre Alte, ma è anche un viaggio storico che parla  di uomini e donne  che sfidano ogni dubbio umano per arrivare in cima al  Gigante delle Alpi.

Per concludere voglio   riportare una frase dell'autore  da tenere sempre presente nei  momenti di  scoramento pe riprendere, poi, subito il nostro  Cammino:

<< Nessuno  di noi  può sapere quanto  gli resta da vivere, ma di una cosa sono  certo: non una sola stagione deve andare sprecata, e l'unico modo  per non lasciare germogliare il seme nero  del  rimpianto è vivere a questa maniera, con lo  zaino sempre pronto, la fantasia libera di  correre sulle mappe, il volto  abbronzato e il cuore disposto  all'amore >>



lunedì 24 giugno 2024

Tina Modotti: la vita di una donna tra fotografia e socialismo

 La bellezza di  Tina descritta  tra parole e immagine  


Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 - Città del  Messico, 5 gennaio 1942)

<<Flessuosa, dalle curve soavi, l'andatura lenta e armoniosa, occhi  di un nero  ardente>>.

Dalla locandina  del  film del 1921 The tiger's coat

<<Tina è di  statura media, e di una bellezza straordinaria. Il suo  volto  dall'espressione tragica, mi ricorda la Duse.....>>.

Dichiarazione dello scrittore tedesco  Leo M. Matthias 

 

Tina Modotti - Edward Weston (1921)

C'è altro  modo per descrivere il fascino  di una donna oltre le parole?


Immagine ©caterinAndemme

A questo  aveva  aveva pensato il fotografo statunitense Edward Weston, fondatore insieme ad Ansel Adams del  Gruppo f/64 (valore del diaframma di un'ottica fotografica), dando  al nudo di  Tina Modotti la sensualità intrinseca di ogni  corpo  femminile che, però,   le causò il giudizio di  donna dai  facili  costumi in una campagna denigratoria capitanata dal  giornale messicano  Excelsior, alla quale solo il deciso  intervento del pittore Diego  Rivera che dichiarò di  avere avuto Tina Modotti in veste come modella per due suoi  murales, salvò  la stessa dall'accusa infamante di  essere una prostituta per darle il  giusto  ruolo  di modella professionale.

Una breve biografia 

Assunta Adelaide Luigia Modotti nasce a Udine il 17 agosto 1896 da un'umile famiglia nella  quale il padre, di professione muratore, era un fervente sostenitore del  socialismo. 

Per questioni  economiche la famiglia di  Tina Modotti emigrò in Austria a Klagenfurt quando lei  aveva solo  due anni: qui  nacquero altri  cinque figli  e cioè: Valentina, Jolanda Luisa, Mercedes, Pasquale ed Ernesto  (morto di  meningite a soli  tre anni).

Al  ritorno in Italia nel 1905, sempre a Udine, nasce l'ultimo  figlio Giuseppe Pietro.

In Italia Tina a soli  dodici  anni per aiutare economicamente la famiglia andò a lavorare come operaia in una fabbrica tessile sempre a Udine. 

Questo, però, non le impedì di  dare spazio alla sua passione dedicata alla fotografia frequentando, per imparare le fondamenta dell'arte, lo studio  fotografico  della zio paterno Pietro  Modotti.

Nel 1913 Tina Modotti  decide di  raggiungere  il padre e sua sorella Mercedes a San Francisco dove ritornò  a lavorare in un'altra fabbrica tessile ma, allo stesso tempo, incominciò a studiare recitazione.

Cinque anni dopo, quindi  nel 1918, sposò il pittore e poeta   Roubaix de l'Abrie Richey (soprannominato  Robo).

Il 1920 è l'anno  di  debutto  di  Tina Modotti nel mondo  del  cinema:

The Tiger's coat (Pelle di  tigre) fu il primo  dei  tre film interpretati  da Tina Modotti ed è l'unico  giunto  fino  a noi.

Per una certa virtù dettata dal  suo  fascino  esotico (Hollywood dava molto  risalto al suo aspetto  fisico  anziché  le  sue doti  di  recitazione) ebbe un buon successo  di  critica e pubblico.

Ma fu appunto il modo in cui il suo  viso  e corpo  furono lanciati  che indusse Tina Modotti a fare terminare anzitempo la sua carriera di  attrice.


Edward Weston da amante a marito (e Tina diventa una fotografa a livello  mondiale)

"Le mani  del  burattinaio" - Tina Modotti (1921)

Edward Weston conobbe Tina Modotti nel 1921 grazie dietro  alla presentazione da parte di  suo  marito  Robo: nel  giro  di un anno lei  divenne dapprima la sua modella preferita, poi assistente di  studio e, una volta affinata la sua tecnica, lei  stessa fotografa. 

Intanto, nello  stesso  anno, Robo decide di  trasferirsi in Messico, nazione che dopo la rivoluzione è in pieno  fermento culturale e sociale.

Tina, insieme a Weston, partono per Città del  Messico per raggiungere il marito malato, purtroppo  i  due arriveranno nella capitale messicana due giorni  dopo  che Robo era morto per un attacco  di  febbre forse causato  dal  vaiolo. 

In Messico  ebbe modo  di  conoscere personaggi illustri tra i  quali Ernest Hemingway, Robert Capa, Frida Khalo.

Il libro: Tina di Pino Cacucci 



La vita di  Tina Modotti subisce in Messico  quasi una metamorfosi che la vede da fotografa affermata a rivoluzionaria combattente nelle file di  Soccorso  rosso internazionale e poi nelle Brigate internazionali in Spagna durante la Guerra civile spagnola.

E' una storia complessa questa che si potrebbe definire come la seconda vita di  Tina Modotti, allora in aiuto alla conoscenza occorre leggere il libro  di  Pino Cacucci Tina per averne una giusta interpretazione.

Il libro è una biografia romanzata (è in quelle parti  romanzate che ho  trovato l'unica pecca del libro, in quanto i dialoghi inventati  dall'autore mi sembrano  fin  troppo  posticci....ma è solo una mia impressione).



A un certo punto nel libro la vita di  Tina Modotti viene messa da parte dall'autore, ma solo per descriverne il contesto  e gli  accadimenti  storici: così il lettore può comprendere cosa sia stata la dittatura di  Stalin, mandante della morte di  Lev Trockij, di  come durante la Guerra Civile in Spagna vi  sia stata un'altra guerra civile che riguardava i  comunisti  contro  gli  anarchici, della spregiudicatezza di alcuni personaggi  come l'ambiguo Vittorio  Vidali.

Vidali e Tina Modotti una relazione tossica 

Tina Modotti muore a Città del Messico il 5 gennaio 1942 in maniera che per alcuni rimane misteriosa.

Tra questi Diego  Rivera che affermò che Tina venne avvelenata dallo  stesso Vidali in quanto  era a conoscenza delle sue attività illecite per conto  dei  servizi  segreti  russi.

Naturalmente è questa solo un'illazione che non trova nessun riscontro in nessun documento, per cui possiamo  solo  accontentarci  dell'epitaffio scritto  da Pablo  Neruda e che si può leggera sulla tomba di  Tina Modotti:

<< Tina Modotti, sorella,  tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo  cuore sente crescere la rosa di ieri,

l'ultima rosa rosa di ieri, la nuova rosa.

Riposa dolcemente sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua: ti  sei  messa una nuova veste di  semente profonda e il tuo  soave silenzio si colma di  radici.

Non dormirai invano  sorella...>> 




lunedì 27 maggio 2024

I fiori in cucina

 I fiori  sono colorati.

I fiori  sono  profumati.

I fiori  sono  buoni  da mangiare.

Due sono i libri dedicati alle delizie del palato  attraverso i  fiori:

Cucinare con i fiori di Lina Marenghi dove 101 ricette sono  divise tra antipasti, primi piatti, secondi, insalate (abbinate anche con la frutta), salse e condimenti (maionese saporite o  aceto  alle rose: provare per credere), dessert (frittata dolce di  iris...ci proverò...forse), liquori (capitolo  che gli  astemi possono tralasciare).

Immagine ©caterinAndemme

Il secondo libro è Rosa Rosae di  Ilaria Fioravanti e Maria Giulia Scolaro: il libro  è introdotto dalla tecnica per coltivare le rose, per poi  passare in un secondo  momento  alle ricette vere e proprie, tra le quali:   lo  sciroppo  di  rose, l'aceto  di  mele alle rose, amaretti  alle rose, frollini alla crema di  rose e ricotta....tutto senza spine!


mercoledì 1 maggio 2024

"Come cavalli che dormono in piedi" di Paolo Rumiz

 


Di Paolo  Rumiz ho un ricordo indelebile nella mia memoria, quando una sera di  alcuni  anni fa, nel  Parco naturale delle Capanne di  Marcarolo (siamo in provincia di  Alessandria), si  tenne un concerto della European Union Youth Orchestra con la voce dello  scrittore che leggeva alcuni  brani  dei  suoi libri, facendo così da filo  conduttore tra musica e parole. 

Purtroppo, la sera precedente all'evento, vi  fu un tragico  episodio dovuto  all'annegamento di un ragazzo nel  torrente lì vicino, ciò mise in forse lo svolgersi  del programma, poi  la decisione fu  quella di ricordare la vittima con un commovente assolo di  tromba sulle note del  silenzio.

Paolo  Rumiz insieme alla European Union Youth Orchestra (Immagine ©caterinAndemme)


Al termine del concerto, sfidando la barriera umana che si  era creata intorno  allo  scrittore, riuscii a farmi  fare una  dedica su uno dei  tanti libri  che ho  dell'autore, una dedica impreziosita da un disegno rappresentato  da una palma stilizzata tra le dune e uno  spicchio  di luna (per la cronaca il libro è Annibale

Chiudo  questo breve preambolo  sul mio  ricordo (abbastanza breve, vero?) per dare la mia impressione sul libro  di  Paolo  Rumiz Come cavalli  che dormono in piedi.

Mi piace molto come scrive  Paolo  Rumiz, godibile per la scioltezza delle parole e interessante per la descrizione dei luoghi  attraversati e i personaggi incontrati lungo i suoi  viaggi,  raccontando il tutto in maniera conviviale, quasi  che il lettore fosse lì in compagnia dell'autore e dei  suoi compagni  d'avventura.

Eppure, in Come cavalli  che dormono in piedi il tono è malinconicamente nostalgico, già  si  comprende dalla dedica che l'autore fa <<ai nonni che non ho mai  conosciuto>>.


 

Partendo  dal  ricordo  di  suo nonno Ferruccio, triestino come lui,  il quale durante la Prima guerra mondiale, Trieste allora, faceva parte dell'Impero  austroungarico, andrà a combattere sul fronte russo, in particolare in Galizia - regione storica oggi  compresa tra Polonia e Ucraina -  Paolo Rumiz vuole ricordare quei centomila uomini i quali, essendo  sudditi  dell'impero,  andranno  a combattere per gli  austroungarici  venendo vessati dagli ufficiali che non credevano nel loro  coraggio e, invece, più di una volta, dimostrarono il loro  valore sui  campi  di  battaglia.  

Quasi  fosse una censura, la stessa loro  memoria viene negata,  come se a quegli uomini, sempre italiani, fosse addossata la colpa di  avere combattuto per un'altra bandiera, dimenticando la verità storica dietro la tragedia di una guerra.



martedì 16 aprile 2024

Bibliomysteries: un quasi genere letterario

Immagine © caterinAndemme

Metto  subito in chiaro che il termine Bibliomysteries in effetti non esiste se non come titolo di una monografia scritta dall'editore (nonché libraio e bibliofilo) americano Otto Penzler.

In pratica, ogni storia poliziesca dove l'ambientazione della trama si  svolge in una libreria o biblioteca (un po'  anche lo Scriptorium del monastero  benedettino descritto  da Umberto Eco nel  suo  capolavoro In nome della Rosa), oppure il soggetto principale è un libraio, o un bibliotecario oppure un collezionista di libri  rari: ecco che, in tutti  questi  casi,  ci  troviamo in un quasi - filone letterario  che è appunto definito  con il termine di  Bibliomysteries.

A questo punto, se il termine è un'invenzione (o quasi), possiamo  domandarci quale sia stato in effetti il primo libro in assoluto da poter essere definito  come capostipite del  genere.

Ancora una volta è Otto Penzler a venire in nostro  soccorso,   indicando in Scrope, or The Lost Library di  Frederic Beecher Perkins  pubblicato  nel 1874, dove l'azione della storia si  svolge per l'appunto in una libreria specializzata in libri  antichi  e aste libraie.

Ovviamente è inutile cercare il libro in questione essendo praticamente introvabile ma, volendo,  possiamo  sempre accontentarci della sua versione digitale offerta da Google Libri:


Continuando nella cronologia dedicata ai Bibliomysteries, arriviamo  all'anno 1898, quando Ferguson Hume nella sua raccolta Hagar of the Pawn - Shop, la protagonista Hagar Stanley, una detective donna, si  trova davanti  a un enigma riguardante una seconda edizione della Divina Commedia di Dante.



Nel 1937 in These Names Make Clues di E.C.R. Lorac, l'ispettore capo Macdonald viene invitato  ad una caccia al  tesoro dall'editore Graham Coombe: il gioco  della caccia al  tesoro  termina quando  viene trovato il cadavere dello  scrittore di thriller Andrew Gardien.



Per terminare questa piccola raccolta di libri dedicata al Bibliomysteries,  un libro molto più recente, pubblicato nel 2015 è Disclaimer (in italiano pubblicato con il titolo Una vita perfetta) della scrittrice Renee Knight.

L'incipit del libro  è già di per sé  intrigante:

<< Immagina di  ricevere un libro  a casa tua. Non sai  chi lo ha scritto, non sai  come sia arrivato  fin lì.
Sai  solo  che dentro  c'è il tuo  segreto più pericoloso. Il segreto  che potrebbe distruggere la tua vita perfetta>>.

E' quanto Catherine Ravenscroft, una donna affermata per i suoi programmi  televisivi, dovrà affrontare trovando sul suo  comodino  un libro intitolato Il perfetto  sconosciuto dove, appunto, la storia è incentrata sulla sua vita e sul suo più intimo  segreto.