Di Paolo Rumiz ho un ricordo indelebile nella mia memoria, quando una sera di alcuni anni fa, nel Parco naturale delle Capanne di Marcarolo (siamo in provincia di Alessandria), si tenne un concerto della European Union Youth Orchestra con la voce dello scrittore che leggeva alcuni brani dei suoi libri, facendo così da filo conduttore tra musica e parole.
Purtroppo, la sera precedente all'evento, vi fu un tragico episodio dovuto all'annegamento di un ragazzo nel torrente lì vicino, ciò mise in forse lo svolgersi del programma, poi la decisione fu quella di ricordare la vittima con un commovente assolo di tromba sulle note del silenzio.
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Paolo Rumiz insieme alla European Union Youth Orchestra (Immagine ©caterinAndemme) |
Al termine del concerto, sfidando la barriera umana che si era creata intorno allo scrittore, riuscii a farmi fare una dedica su uno dei tanti libri che ho dell'autore, una dedica impreziosita da un disegno rappresentato da una palma stilizzata tra le dune e uno spicchio di luna (per la cronaca il libro è Annibale)
Chiudo questo breve preambolo sul mio ricordo (abbastanza breve, vero?) per dare la mia impressione sul libro di Paolo Rumiz Come cavalli che dormono in piedi.
Mi piace molto come scrive Paolo Rumiz, godibile per la scioltezza delle parole e interessante per la descrizione dei luoghi attraversati e i personaggi incontrati lungo i suoi viaggi, raccontando il tutto in maniera conviviale, quasi che il lettore fosse lì in compagnia dell'autore e dei suoi compagni d'avventura.
Eppure, in Come cavalli che dormono in piedi il tono è malinconicamente nostalgico, già si comprende dalla dedica che l'autore fa <<ai nonni che non ho mai conosciuto>>.
Partendo dal ricordo di suo nonno Ferruccio, triestino come lui, il quale durante la Prima guerra mondiale, Trieste allora, faceva parte dell'Impero austroungarico, andrà a combattere sul fronte russo, in particolare in Galizia - regione storica oggi compresa tra Polonia e Ucraina - Paolo Rumiz vuole ricordare quei centomila uomini i quali, essendo sudditi dell'impero, andranno a combattere per gli austroungarici venendo vessati dagli ufficiali che non credevano nel loro coraggio e, invece, più di una volta, dimostrarono il loro valore sui campi di battaglia.
Quasi fosse una censura, la stessa loro memoria viene negata, come se a quegli uomini, sempre italiani, fosse addossata la colpa di avere combattuto per un'altra bandiera, dimenticando la verità storica dietro la tragedia di una guerra.
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