martedì 31 dicembre 2024

Sfere di fuoco: dalla fantascienza di Urania, passando per i miti fino alle ipotesi scientifiche

 Nel 1492, mentre Cristoforo Colombo a sua insaputa scopriva l'America, a Barga (in provincia di  Lucca) la cronaca locale riporta la storia di una sfera di  fuoco che solcò il cielo con grande rombo (probabilmente si  trattava del passaggio di un meteorite dal peso  di 120 chilogrammi  che si  schiantò nel  novembre dello stesso  anno in Alsazia, nei pressi  di  Ensisheim)


Qualche secolo dopo, precisamente nel  1954, Urania, la collana della Mondadori  dedicata ai  racconti di  fantascienza, pubblicò il romanzo Sfere di  Fuoco di  Erik van Lhin (uno  dei  tanti  pseudonimi del prolifico autore statunitense Lester del Rey)

Nel  romanzo , ambientato  sul pianeta Mercurio, una colonia di  terrestri deve fare i  conti  non solo con le tempeste magnetiche solari ma anche con un'entità fornite di intelligenza propria (appunto le Sfere di  Fuoco). 

Dal  racconto di  fantascienza passiamo  a quella del  mito  o  leggenda:

Si  narra che ogni  anno ad ottobre sul fiume Mekong misteriose sfere di  fuoco, chiamate dalla popolazione locale bung fay paya nak, si  elevano  dalla sua superficie verso il cielo  notturno, per poi scomparire alla vista.

 Per la popolazione queste sfere non sono  altro  che emanazioni di un leggendario popolo  di uomini -serpenti: i naga.

 La scienza,  comunque, ci  dice che nella categoria sfere di  fuoco possiamo includere i fulmini  globulari, i  fuochi  fatui e altri  fenomeni  simili delle quali  la scienza fornisce le seguenti  ragioni: 

Alcune sfere di  fuoco sembrano  essere il  prodotto di  organismi  viventi: il decadimento della materia organica nelle paludi e in altre zone umide porta al  rilascio  di  gas contenti metano e fosforo  (fosfina) che possono incendiarsi  dopo avere interagito con l'ossigeno  dell'atmosfera producendo, quindi, una luce tremolante sospesa a mezz'aria.

Alcuni  fenomeni, d'altra parte. sono  di  origine elettrica come, a esempio, una scintilla all'interno  del  terreno durante un terremoto: in questo  caso  le rocce sollecitate rilasciano un flusso  di  elettroni in superficie dove, sempre interagendo  con l'aria, producono  lampi  di  luce. 

Il discorso  cambia quando  si  parla di  fulmini globulari che si producono in atmosfera indipendentemente da esserci  o meno un temporale in corso: 

La  loro forma è pressoché sferica e di  diametro variabile, mentre il loro  movimento è rapido  e casuale, oppure, al  contrario, rimangono stazionarie nel  cielo ( potrebbe essere una spiegazione ai  recenti  avvistamenti  di  droni misteriosi  nei  cieli degli  Stati Uniti? Questa è solo una mia modesta ipotesi).

Una certa cronaca, diciamo  al limite dell'impossibile, parla di  alcuni  casi in cui  il fulmine globulare, entrando in una casa (da una finestra  aperta?),  ha ucciso chi  si  è trovato in quella stanza.

 Oppure si parla anche di  fulmini  globulari passeggiare lungo  la corsia di un aereo  (è quello  che riferì l'astronomo Roger Jennison durante un volo  notturno  nel 1963).

Le risposte al  quesito riguardante la natura dei fulmini globulari sono  varie (in alcuni  casi  bizzarre) e vanno dai  micro buchi  neri, fenomeni  dovuti  a particelle calde di  silicio, una reazione nucleare in miniatura  (a proposito  di  bizzarrie, fino a crisi  allucinatorie dovute all'epilessia (mai  riscontrate in medicina!). 

Lo scienziato  cinese H.C. Wu dell'Università di Zhejiang,  prendendo  spunto che le sfere potrebbero  essere formate da radiazioni  a microonde, ipotizza che:

Le microonde nascono da un gruppo  di  elettroni accelerati a una velocità prossima alla quella della luce.

Ciò avviene quando il terreno è colpito  da un fulmine, in particolare gli  elettroni sono  accelerati  dal  forte campo  magnetico, creato  come quando un canale di  elettroni si muove gradualmente dalla base di una nuvola verso il suolo, appena prima del flash luminoso e cioè del  fulmine.

In quella parte del  fulmine che raggiunge il suolo, prosegue Wu, si può produrre un gruppo  di  elettroni relativistici, che, a loro  volta, emettono intense radiazione a microonde: indipendentemente dalla fonte, le microonde atmosferiche producono plasma caricando l'aria circostante. 

La radiazione esercita una pressione sufficiente a spingere il plasma verso l'esterno in una bolla che noi, per l'appunto, vediamo  come un fulmine di  forma sferica. 

 Le microonde intrappolate al  suo interno continuano  a generare plasma e quindi  a mantenere in vita la bolla per una breve durata.

Il fulmine, alla fine, sbiadisce appena la radiazione, trattenuta all'interno  della bolla, viene dissipata. 

In caso  contrario la bolla si  rompe causando un'esplosione. 

La presenza di microonde e plasma come componenti  dei  fulmini  globulari ne spiegherebbe alcune delle proprietà come quella di attraversare i vetri  delle finestre,  creare un rumore udibile all'orecchio umano e generare ozono. 

Questo, sempre secondo  le teorie dello  scienziato  cinese, spiegherebbe come un fulmine globulare può entrare anche nella cabina di pilotaggio di un aereo: gli  elettroni ne attraverserebbero il guscio  metallico dopo  essere stati  accelerati dall'energia prodotta dal  fulmine.

in ogni  caso  la scienza continua a indagare per fornire una risposta precisa ed esauriente per quanto  riguarda la formazione delle sfere di  fuoco....forse i naga potrebbero  aiutarci  per derimere questo mistero.



 

 

sabato 23 novembre 2024

Il Ragno Gedeone: la (NON) favola di Caterina A.

 

Il Ragno Gedeone 


Tutte le favole iniziano  con c'era una volta.....

Anche questa!

<< C'era una volta un bambino  che chiameremo  Mattia.

Mattia  viveva in una vecchia casa insieme alla mamma e al patrigno (il papà era morto quando lui  era ancora nella pancia della mamma).

Il patrigno  all'inizio  della storia con sua madre si  era dimostrato amorevole e pieno  di  attenzioni poi, con il passare del  tempo, all'amore sostituì il vino fino a diventare, giorno  per giorno, sempre più violento.

Mattia dal  canto  suo non aveva molti  amici: anzi  non ne aveva affatto!

Solo uno, però:

Il Ragno Gedeone

Il Ragno  Gedeone non era reale, viveva in una pagina di un vecchio libro o, per meglio  dire, era nel  disegno raffigurante una cantina dove, in un angolo, una ragnatela penzolava dal  soffitto e, al  centro  di  essa, vi  era appunto il Ragno  Gedeone.

A Mattia in effetti i ragni non piacevano ma, non si  sa il perché, Gedeone gli  era simpatico.

Fu la fatica di vivere accanto a un uomo  violento  (picchiava sia lui  che sua madre) che gli  fece nascere un desiderio: e cioè che il Ragno Gedeone una volta per tutte si portasse via l'uomo.

E una notte in cui  la Luna, che di solito se ne sta in cielo tra le stelle a farsi i fatti  suoi, ascoltò il desiderio  di  Mattia: subito inviò un raggio  della sua luce nella pagina aperta di  quel  libro.

Il raggio  di  luce colpì Gedeone che uscì dal  disegno diventando  sempre più grande (Mattia, ovviamente, dormendo  non si  accorse di  nulla).

Il Ragno  Gedeone uscendo  dalla stanza del  bambino, andò nel  corridoio  della casa, si infilò sotto lo stipite della camera da letto dove dormiva il patrigno (la madre aveva ottenuto, non senza fatica, di poter dormire in un'altra stanza).

L'uomo  dormiva alla grossa, ma una sensazione come di  solletico lo fece svegliare: era il Ragno Gedeone  che stava intessendo un bozzolo intorno  al  suo  corpo.

L'uomo dapprima pensò a un incubo, poi, rendendosi  conto  che era sveglio, provò ad urlare: ma dalla gola non gli usciva nessun  suono.

Quindi  il Ragno  Gedeone passò di  nuovo  sotto  lo  stipite della porta portando  con se l'uomo imbossolato: considerando  che siamo in una favola anche l'uomo  passò sotto  la porta, assottigliandosi sempre di più (udiva solo  lo  scricchiolio delle sue ossa che si spezzavano...)

Il giorno  dopo  la madre di  Mattia cercò l'uomo e non trovandolo  da nessuna parte (pensando  che ubriaco  avesse avuto un incidente), denunciò la scomparsa alla polizia.

Furono  fatte delle ricerche per giorni,  ma nulla: l'uomo  era misteriosamente scomparso.

Da allora la vita di  Mattia e di sua madre andò per il meglio, anzi, per ognuno  che entrava in quella casa la sensazione era che la felicità non potesse più abbandonare madre e figlio.

Passarono  gli  anni e Mattia, ormai  uomo, viveva con una donna che amava, due deliziosi bambini  (una bambina e un bambino, per l'esattezza) e tanti  amici.

Un giorno Mattia riordinando le sue cose, ritrovò quel  vecchio  libro  di  favole, si  ricordò del Ragno  Gedeone, eppure in quel  disegno c'era un particolare che non rammentava: dalla ragnatela, come una preda, pendeva un bozzolo  a forma umana (come una mummia) dalla quale si potevano intravedere solo  due occhi disperatamente impauriti.....>>

FINE




lunedì 28 ottobre 2024

Anabasi: l'avventura dei diecimila

 

Si può leggere un classico  come se fosse un libro  d'avventura?

Quando mi proposero  di  leggere l'Anabasi di Senofonte (con tanto  di  testo  greco a fronte, lingua a me conosciuta quanto lo swahili ), devo  confessare di  avere avuto qualche dubbio, poi, seguendo  il suggerimento di  affiancare alla lettura un atlante storico per seguire passo  dopo  passo (o quasi) l'epopea dei  soldati  greci  che nel 401 a.C..... 

Anabasi: un piccolo riassunto


Nel 401 a.C. diecimila soldati  greci seguirono Ciro  il Giovane in Persia la cui  intenzione era quella di  spodestare il fratello Artaserse II dal  trono.

Fra i  diecimila figurava anche Senofonte, aristocratico cavaliere e filospartano, nonché discepolo  di  Socrate.

L'impresa di  Ciro  fallisce con la battaglia di Cunassa (in cui  lo  stesso  Ciro  troverà la morte): l'esercito  greco entra in una fase di  sbandamento poiché non ha nessuno alla guida in quanto  tutti  gli  strateghi  sono morti.

Ben presto, però, grazie alla loro  disciplina e coraggio si  riorganizzano eleggendo  nuovi  capi fra cui, appunto, Senofonte.

I diecimila iniziano  così una lunghissima marcia per ritornare in patria, attraversando tra pericoli  e difficoltà (compreso l'avvelenamento  da miele tossico  dovuto dal  nettare di  alcuni  fiori  della famiglia delle Ericacee*) la risalita di  parte del Tigri, il Kurdistan e le montagne dell'Armenia, fino  ad arrivare alle sponde del  Mar Morto e da lì fino in Tracia.

* << in questo paese ci sono molti alveari e quei soldati che hanno mangiato del miele perdono tutti la ragione, vomitano, nessuno ha la forza di tenersi in piedi. Quelli che ne hanno mangiato poco sembrano completamente ubriachi, quelli che ne hanno preso molto sembrano pazzi furiosi o anche moribondi. Così molti restano distesi al suolo come dopo una sconfitta e la costernazione è generale. L’indomani tuttavia nessuno muore e poco a poco tutti alla stessa ora recuperano la ragione. Il terzo giorno e il quarto possono reggersi sulle gambe, come riprendendosi da un avvelenamento >>
Il percorso dei  diecimila greci nell'Anabasi (fonte Wikipedia)

 Anabasi: la struttura del libro 


 

 Tralasciando  a quale genere letterario possa appartenere l'Anabasi, per alcuni  studiosi  si  tratta  del primo  scritto  di  memorie di  genere militare, la sua struttura  è composta da sette  libri: il primo  dei  quali è l'Anabasi (la marcia verso l'interno) che darà il nome all'intera opera, i rimanenti  sei  libri sono  dedicati  alla Catabasi  (marcia verso  l'esterno) e Parabasi (marcia lungo  la costa).


Il testo  dell'Anabasi è giunto  a noi  attraverso una decina di  codici che gli  storici  dividono in due famiglie: la famiglia c che comprende quattro  manoscritti risalenti  all'incirca al 1462, la seconda chiamata con la lettera f che comprende un numero  maggiori di  codici antecedenti  alla prima famiglia.

Una curiosità per cinefili 


E'  stato il mio  amico  Andrea a farmi  ricordare che l'Anabasi è servita come spunto per una pellicola del 1979 e cioè The Warriors (I guerrieri  della notte) diretto  dal  regista Walter Hill.

In effetti il film si  basò sul romanzo di Solomon Yurich del 1965,  I guerrieri  della notte.
 
Yurich, a sua volta, per la trama del romanzo  si  era ispirato all'opera di  Senofonte.






lunedì 7 ottobre 2024

I Paesi invisibili ovvero quella Italia dimenticata

Quando Michele Cortese, maestro elementare che per propria volontà chiede il trasferimento da Roma a uno  sperduto  paesino  della Val  di  Sangro, cerca di convincere una coppia di  genitori  che la scelta del  figlio  di restare lì dove  non c'è  futuro, lo  fa citando il testo dell'antropologo  culturale Tito Levi e il significato della filosofia dietro  alla parola restanza.

Ai  genitori  non resta che mettere in luce le contraddizioni insite  in una pura idealizzazione di modello  di  vita, cioè non bastano quei  pochi  giorni o periodi  di poco  più lunghi di vacanza, per comprendere le difficoltà alle quali  vanno incontro  chi  abita i Paesi invisibili .

Naturalmente avete compreso  che il riferimento  è ad una scena del  bel  film Un mondo  a parte di Riccardo  Milani, magistralmente interpretato  da Antonio  Albanese e Virginia Raffaele (senza dimenticare gli  altri interpreti meritevoli al pari dei  protagonisti  principali). 


Per quanto  riguarda   il libro  di  Tito Levi La restanza, non avendolo ancora letto, mi  accontenterò come voi di  questa anteprima per decidere su  di un possibile acquisto  dello  stesso.



I paesi invisibili di Anna Rizzo 




Diciamolo  subito: la professione di antropologa culturale non è per tutti: i  sacrifici  che bisogna affrontare sul campo riguardano l'isolamento dei luoghi  visitati  (quei Paesi invisibili del  titolo del libro), essere ospitati in case gelide senza riscaldamento (in inverno) e mangiare proverbialmente quello  che passa il convento.

Anna Rizzo antropologa culturale

Bastano le prime righe del  libro, l'incontro con un'anziana debilitata che vive in una casa oltre il limite di ogni  povertà, dove l'odore di urina, feci  e putrefazione (parole  dell'autrice) travolgono la visitatrice, per far comprendere la passione che bisogna avere per intraprendere la carriera di antropologa culturale.

Tanto più che questo incontro, come tanti  altri  ancora descritti nel  testo   non avviene in qualche parte sperduta del  Terzo  Mondo, ma qui , nella nostra Italia, magari in luoghi semi  abbandonati a qualche centinaia di  chilometri  in linea d'aria dalle metropoli o posti nei  quali  l'overtourism è un male a cui  difficilmente, per interessi  economici, si  vuole rinunciare.

E' vero: esistono  anche paesi rappresentati in maniera a uso  e consumo del  turista, paesi  che fanno  da sfondo ai  selfie, negozi che vendono  paccottiglia a forma di  souvenir, luoghi  dove la cucina viene spacciata come quella tipica.

Anna Rizzo  invece parla di luoghi  dove non sembra viverci  nessuno eppure, ben 13 milioni di nostri  connazionali, vivono.

Tredici  milioni di italiani che giorno  per giorno  devono  combattere per avere quello  che nel  resto  del  Paese è cosa normale: quindi i servizi, le scuole, un presidio  sanitario, una biblioteca, luoghi per la socializzazione.

Con il tempo che avanza questi  cittadini continuano a vivere la loro  storia di  resistenza affinché anche la loro  realtà non venga mai  dimenticata. 

 Forse questo  è il significato  della parola restanza.



   

domenica 22 settembre 2024

Sulle orme dei templari a Saliceto

 

Saliceto  (foto © caterinAndemme)

Saliceto oltre l'esoterismo (un incontro  fortuito) 


Saliceto oltre l'esoterismo (5° tappa GTL) è il titolo  che ho  dato al post scritto  su  IL blog di Caterina per evidenziare un incontro  fortuito  al  termine di un'escursione che, dal  borgo della Val  Bormida di  Millesimo (ma siamo in provincia  di  Cuneo), mi  ha condotto al  Santuario  dell'Assunta di  Gottasecca.

La mia intenzione era quella di  corredare l'articolo con delle immagini  del  castello  di  Saliceto posto  sull' antica Via del Sale, tra Piemonte e Liguria, inizialmente appartenuto al  vescovo di Savona, poi al  comune di  Asti e, infine, dal 1251 al 1532 alla famiglia Del Carretto ( in seguito Carlo  V donò il castello ai  Savoia).

(Immagine © caterinAndemme)

La storia del  castello non si  ferma, ovviamente a queste poche righe, posso  solo  aggiungere che nel 1689 il castello fu  assediato dall'esercito  spagnolo e raso  al  suolo, dopodiché, una volta restaurato, ci pensò Napoleone a farne nel 1796 un suo  quartiere generale: alla fine, quello  che possiamo  vedere oggi è il risultato  di  successive ricostruzioni che lasciano comunque in vista i  caratteri  tipici delle architetture fortificate.

A questo punto svelo  quale sia stato l'incontro  fortuito del  sottotitolo:

Pretendere di  trovare un castello  aperto ai  visitatori  fuori  dall'orario  di  visita,  per di più in un qualsiasi  giorno  feriale, rientra pienamente in quella categoria definita come le  pie illusioni:  fatto  sta   che la sottoscritta, pur non vivendo  di illusioni, sa che in qualche modo  la testardaggine a volte viene premiata e quindi il caso  ha voluto  che, nel momento in cui volgevo le spalle al portone chiuso, questo  si apre facendo uscire una simpatica persone che mi chiede: <<Vuole visitare il castello?>>.

Guido  Araldo

Quello che diverrà la mia guida per più di un'ora è Guido  Araldo, autore di più di  quaranta libri (quarantotto  per la precisione,  sempre che nel  frattempo non ne  abbia scritto altri), attento  studioso che ha incentrato  le sue ricerche sulla presenza dei  templari nel  Nord Ovest dell'Italia e sulle Alpi con una particolare attenzione a quattro  siti ed esattamente: l'Abbazia di Staffarda, il castello della Manta, la Sacra di  san Michele ma, soprattutto Saliceto definito (da l'autore, s'intende) il più straordinario paese esoterico  al mondo, con reperti  quali affreschi, bassorilievi e quadri  databili  dal 1300 al 1800 che palesano informazioni  iniziatiche uniche a chi  sappia vedere e non solo  guardare.   


Il mistero  di  Saliceto  è l'opera in cui  si palesa tutta la passione dell'autore per la materia dei  suoi  studi, nello specifico fornisce appunto  quelle informazioni  che solitamente al  visitatore sono precluse.

Si  entra nel  campo  dell'esoterismo e qui Guido Araldo mette subito in chiaro che non vuole convincere nessuno a riguardo, ma che il suo punto  di  vista (condivisibile o meno) ha il pregio di un'attenta analisi  dei  fatti, gli stessi  che raccontano un altro modo  di intendere la storia.

  




martedì 27 agosto 2024

Le prime albe del mondo di Marco Albino Ferrari

 In Liguria dal  mare si  vedono  le montagne e viceversa 



Ad un certo punto  leggo  nel  libro  di Marco  Albino  Ferrari Le prime albe del  mondo una domanda curiosa che più di una persona, una volta arrivati  in cima al  Monte Bianco, gli pone e cioè:

<< Da qui  si  vede il mare?>>.

Tralasciando  eventuali lacune  a riguardo della geografia e rovesciando il punto  di  vista, potrei  dire in alcune parti della Liguria costiera  dal  mare si possono  vedere le montagne.

Naturalmente avete compreso  che se ho  tutto  questo interesse per la Liguria è perché ci  abito.


  Il territorio  della Liguria  si  divide tra montagna e collina, lasciando  una striminzita striscia costiera ai  vacanzieri marini, quindi, paradossalmente, la si può definire una regione montana.



 Nelle foto  il rifugio  della Casa della Miniera e un tratto  di  sentiero riguardante l'Alta Via dei Monti  Liguri  nel Parco Naturale Regionale del Monte Beigua.

Le prime albe del  mondo  di Marco Albino  Ferrari


Mi piace il modo di scrivere appassionato  di  Marco Albino  Ferrari,  come del  resto mi piaceva la linea editoriale che aveva imposto al mensile Meridiani  e Montagne (da lui  fondata e diretta) e che, secondo  me, ha perso smalto  da quando lui l'ha abbandonata.

Le prime albe del  mondo  non dovrebbe mancare tra coloro  cha amano  la montagna: io  stessa,  camminatrice e non certo  alpinista, mi sono immedesimata in quelle storie di uomini  e donne che, dietro  alla spinta verso l'ignoto e la conoscenza, hanno percorso in passato i luoghi  inesplorati  della Terra.

Ho seguito i passi  di  Walter Bonatti, quelli  di  Reinhold Messner, di  Ninì Pietrasanta, di  Loulou Boulaz...

Ho avuto un brivido leggendo la fine tragica di Giusto Gervasutti quando il 16 settembre 1946, insieme al  suo  compagno  di  cordata Giuseppe Gagliardone, tentano  di  salire sul   Mont Blanc du  Tacul ma devono  rinunciare per il maltempo: 

<< Gervasutti fugge come un lampo verso il vuoto, precipita con le braccia che annaspano impotenti nell'aria,, sparendo nell'abisso  trasparente>>

E' anche in parte la storia dell'autore, di  come divenne direttore della prestigiosa rivista Alp (purtroppo da anni non più in edicola), curatore della collana I Licheni e autore di molti  altri libri  tra cui Frêney 1961; Il vuoto  alle spalle; Terraferma; In viaggio  sulle Alpi; La via del lupo.

 

Piccole curiosità

Dai libri  si impara  sempre,  anche quelle piccole cose alle quali non si è mai  pensato in precedenza.

A esempio da Le prime albe del mondo ho imparato  che la parola safari ha origini  arabe e che in lingua swahili significa viaggio  a piedi.

Ben più importante è la conoscenza della Tesi  di  Biella quando, nel 1987, si  era discusso appunto  a Biella presso  il Teatro  sociale, il modo di progettare  azioni spettacolari al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sui  problemi  relativi  all'inquinamento e alla crisi  ambientale.

Ben prima della azioni degli attivisti  di ultima generazione.




mercoledì 31 luglio 2024

Ahi, ahi....Mr. Bryson: I didn't have fun this time

 


Bill Bryson è sempre.....Bill Bryson

Sennonché in questo sua opera (?) Piccola grande isola, il seguito  di Notizie da un'isoletta ( libri entrambi dedicati all'Inghilterra), più che il Bill Bryson che tanto  mi ha divertito  nei  suoi precedenti libri  (che ovviamente ho  letto), ho trovato il personaggio  di un vecchietto piuttosto  rancoroso  che spara a zero su  tutto  e tutti. 

Qualche esempio?

A pagina 145 a proposito  di internet  e degli informatici scrive testualmente:

<<D'altra parte internet è così: non è che un ammasso  di informazioni digitali, senza cervello e senza sentimenti: in effetti, proprio  come gli informatici>>.

A pagina 156 è in disaccordo con l'autore di un articolo pubblicato  sulla rivista Economist riguardanti le cinture verdi intorno  alle città,  giudicandolo "idiota, pomposo, saccente".

Va bene, forse sto  esagerando  e questo suo libro non mi è particolarmente piaciuto, ma cosa dire quando lui  ride (o  vuol  fare ridere) delle sue flatulenze.

Infatti, parlando della sua  visita a Blenheim (monumentale residenza di  campagna a Woodstock  nell'Oxfordshire) descrive la sua prodezza: 

<< ....a peggiorare le cose, nel nostro  gruppo c'era qualcuno  che stava mollando  scorregge tanto  silenziose quanto letali. Fortuna volle che fossi io, quindi  non ero neanche lontanamente infastidito  come gli  altri>>.

Immagine che una simile confessione abbia suscitato in più di un lettore (ma anche in qualche lettrice) delle grasse risate, da parte mia spero  di non incontrare mai  Bill Bryson al  chiuso in un museo.....

Togliendo  il cinquanta o sessanta  per cento  delle pagine del libro scritte con questo tenore, il restante può bastare per una  una lettura sotto l'ombrellone.




lunedì 15 luglio 2024

Quattromilaottocentocinque metri sotto il cielo

Immagine ©caterinAndemme

Un quasi  prologo 

 Qualche anno  fa mi  cimentai nel  Tour du  Mont Blanc, impresa interrotta dopo  qualche tappa per il poco  tempo  a disposizione e per il maltempo allora incombente.

Enrico  Brizzi, decisamente più fortunato, insieme ai  suoi  amici ha completato  il Tour descrivendolo  nel  suo libro  L'estate del Gigante.

Ovviamente il titolo  di  quest'articolo, riferito  ai 4.805 metri di altezza (comunque sempre sotto il cielo) , si  riferisce alla cima del  Monte Bianco. 

 Quando  si parla di Monte Bianco e dei  suoi  primi scalatori, sono  sempre gli uomini  ad essere menzionati: Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard (quest'ultimo poi  discriminato da certa stampa  di  allora fu  presto  dimenticato) furono i primi  ad arrivare in cima l'8 agosto 1786.

Ma le donne?

Isabella Straton 

Ebbene la prima ascensione invernale assoluta fu proprio  una donna ad effettuarla il 31 gennaio 1876: Isabella Straton ( a dire il vero l'impresa venne compiuta insieme a suo  marito Jean Charlet).

Marie Paradis

Andando, però, indietro  negli  anni e cioè risalendo al 14 luglio 1808 troviamo Marie Paradis (insieme al  figlio  e a Jacques Balmat) in cima al  Monte Bianco: in verità la storia ci  racconta di un'ascesa tormentata da parte di  Marie che, comunque, in seguito  si aggiudicò il soprannome di  Marie du  Mont Blanc, oltre al  ricordo postumo con dedica di  una scuola a Saint-Gervais-les-Bains, la passeggiata che costeggia il fiume a Chamonix, una strada a Valence e una a La Roche-sur-Yon, un vicolo ad Annecy, una palestra a Parigi  e una a Blainville-sur-Orne.  

Per concludere questa rapida carrellata sui  personaggi (quasi) dimenticati dalla storia delle ascensioni  sul  Monte Bianco e per dare anche un motivo  di orgoglio  ai  nostri  amici  a quattro zampe (ammesso che a loro  interessi) il primo cane che mise la propria zampa in cima al  Gigante fu quello  che accompagnò l'alpinista Michel  Belmot il 23 agosto 1837 (non è dato  a sapere quanti  croccantini si  guadagnò il fedele amico  dell'uomo).

L'estate del Gigante di  Enrico  Brizzi

 


Come nei  precedenti  libri  di  Enrico  Brizzi, anche qui l'autore nel  suo  Tour du  Mont Blanc è accompagnato  dagli  amici già visti in altre occasione letterarie.

Sono un gruppo  di persone che tra loro si  chiamano Buoni cugini e si  definiscono  Psicoatleti: a dire il vero ad oggi non ho ancora compreso  se essi  siano  personaggi  fittizi (come la svalvolata e molto  bistrattata Zara di  questo  libro), oppure reali, ai quali sono stati appiccicate note caratteriali a uso per il racconto.

Sennonché, incuriosita dagli psicoatleti, ho  fatto una ricerca in rete (googlare direbbe qualcuno,  ma sinceramente tale termine lo  trovo  alquanto  ridicolo) trovando  che esiste davvero l'Associazione Psicoatleti e che tale nome compare per la prima volta nel 2004 sul blog di  Enrico  Brizzi archiviomagnetico (una storia più completa si trova sul libro  di Brizzi del 2011 appunto intitolato Psicoatleti).

Sempre sul  sito degli Psicoatleti si riferisce  che già nel 1861 in Italia, precisamente a Torino, venne fondata la Società Nazionale di  Psicoatletica per incentivare il cammino  a piedi  in quella nazione appena nata, appunto l'Italia.

Oggi l'Associazione Psicoatleti  si  occupa di  organizzare trekking ed ha una propria fanzine con il programma annuale e le modalità di iscrizione (la fanzine è scaricabile in versione pdf da questo link).


L'estate del  Gigante non è solo  il racconto  di un viaggio in quelle che sono definite Terre Alte, ma è anche un viaggio storico che parla  di uomini e donne  che sfidano ogni dubbio umano per arrivare in cima al  Gigante delle Alpi.

Per concludere voglio   riportare una frase dell'autore  da tenere sempre presente nei  momenti di  scoramento pe riprendere, poi, subito il nostro  Cammino:

<< Nessuno  di noi  può sapere quanto  gli resta da vivere, ma di una cosa sono  certo: non una sola stagione deve andare sprecata, e l'unico modo  per non lasciare germogliare il seme nero  del  rimpianto è vivere a questa maniera, con lo  zaino sempre pronto, la fantasia libera di  correre sulle mappe, il volto  abbronzato e il cuore disposto  all'amore >>



lunedì 24 giugno 2024

Tina Modotti: la vita di una donna tra fotografia e socialismo

 La bellezza di  Tina descritta  tra parole e immagine  


Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 - Città del  Messico, 5 gennaio 1942)

<<Flessuosa, dalle curve soavi, l'andatura lenta e armoniosa, occhi  di un nero  ardente>>.

Dalla locandina  del  film del 1921 The tiger's coat

<<Tina è di  statura media, e di una bellezza straordinaria. Il suo  volto  dall'espressione tragica, mi ricorda la Duse.....>>.

Dichiarazione dello scrittore tedesco  Leo M. Matthias 

 

Tina Modotti - Edward Weston (1921)

C'è altro  modo per descrivere il fascino  di una donna oltre le parole?


Immagine ©caterinAndemme

A questo  aveva  aveva pensato il fotografo statunitense Edward Weston, fondatore insieme ad Ansel Adams del  Gruppo f/64 (valore del diaframma di un'ottica fotografica), dando  al nudo di  Tina Modotti la sensualità intrinseca di ogni  corpo  femminile che, però,   le causò il giudizio di  donna dai  facili  costumi in una campagna denigratoria capitanata dal  giornale messicano  Excelsior, alla quale solo il deciso  intervento del pittore Diego  Rivera che dichiarò di  avere avuto Tina Modotti in veste come modella per due suoi  murales, salvò  la stessa dall'accusa infamante di  essere una prostituta per darle il  giusto  ruolo  di modella professionale.

Una breve biografia 

Assunta Adelaide Luigia Modotti nasce a Udine il 17 agosto 1896 da un'umile famiglia nella  quale il padre, di professione muratore, era un fervente sostenitore del  socialismo. 

Per questioni  economiche la famiglia di  Tina Modotti emigrò in Austria a Klagenfurt quando lei  aveva solo  due anni: qui  nacquero altri  cinque figli  e cioè: Valentina, Jolanda Luisa, Mercedes, Pasquale ed Ernesto  (morto di  meningite a soli  tre anni).

Al  ritorno in Italia nel 1905, sempre a Udine, nasce l'ultimo  figlio Giuseppe Pietro.

In Italia Tina a soli  dodici  anni per aiutare economicamente la famiglia andò a lavorare come operaia in una fabbrica tessile sempre a Udine. 

Questo, però, non le impedì di  dare spazio alla sua passione dedicata alla fotografia frequentando, per imparare le fondamenta dell'arte, lo studio  fotografico  della zio paterno Pietro  Modotti.

Nel 1913 Tina Modotti  decide di  raggiungere  il padre e sua sorella Mercedes a San Francisco dove ritornò  a lavorare in un'altra fabbrica tessile ma, allo stesso tempo, incominciò a studiare recitazione.

Cinque anni dopo, quindi  nel 1918, sposò il pittore e poeta   Roubaix de l'Abrie Richey (soprannominato  Robo).

Il 1920 è l'anno  di  debutto  di  Tina Modotti nel mondo  del  cinema:

The Tiger's coat (Pelle di  tigre) fu il primo  dei  tre film interpretati  da Tina Modotti ed è l'unico  giunto  fino  a noi.

Per una certa virtù dettata dal  suo  fascino  esotico (Hollywood dava molto  risalto al suo aspetto  fisico  anziché  le  sue doti  di  recitazione) ebbe un buon successo  di  critica e pubblico.

Ma fu appunto il modo in cui il suo  viso  e corpo  furono lanciati  che indusse Tina Modotti a fare terminare anzitempo la sua carriera di  attrice.


Edward Weston da amante a marito (e Tina diventa una fotografa a livello  mondiale)

"Le mani  del  burattinaio" - Tina Modotti (1921)

Edward Weston conobbe Tina Modotti nel 1921 grazie dietro  alla presentazione da parte di  suo  marito  Robo: nel  giro  di un anno lei  divenne dapprima la sua modella preferita, poi assistente di  studio e, una volta affinata la sua tecnica, lei  stessa fotografa. 

Intanto, nello  stesso  anno, Robo decide di  trasferirsi in Messico, nazione che dopo la rivoluzione è in pieno  fermento culturale e sociale.

Tina, insieme a Weston, partono per Città del  Messico per raggiungere il marito malato, purtroppo  i  due arriveranno nella capitale messicana due giorni  dopo  che Robo era morto per un attacco  di  febbre forse causato  dal  vaiolo. 

In Messico  ebbe modo  di  conoscere personaggi illustri tra i  quali Ernest Hemingway, Robert Capa, Frida Khalo.

Il libro: Tina di Pino Cacucci 



La vita di  Tina Modotti subisce in Messico  quasi una metamorfosi che la vede da fotografa affermata a rivoluzionaria combattente nelle file di  Soccorso  rosso internazionale e poi nelle Brigate internazionali in Spagna durante la Guerra civile spagnola.

E' una storia complessa questa che si potrebbe definire come la seconda vita di  Tina Modotti, allora in aiuto alla conoscenza occorre leggere il libro  di  Pino Cacucci Tina per averne una giusta interpretazione.

Il libro è una biografia romanzata (è in quelle parti  romanzate che ho  trovato l'unica pecca del libro, in quanto i dialoghi inventati  dall'autore mi sembrano  fin  troppo  posticci....ma è solo una mia impressione).



A un certo punto nel libro la vita di  Tina Modotti viene messa da parte dall'autore, ma solo per descriverne il contesto  e gli  accadimenti  storici: così il lettore può comprendere cosa sia stata la dittatura di  Stalin, mandante della morte di  Lev Trockij, di  come durante la Guerra Civile in Spagna vi  sia stata un'altra guerra civile che riguardava i  comunisti  contro  gli  anarchici, della spregiudicatezza di alcuni personaggi  come l'ambiguo Vittorio  Vidali.

Vidali e Tina Modotti una relazione tossica 

Tina Modotti muore a Città del Messico il 5 gennaio 1942 in maniera che per alcuni rimane misteriosa.

Tra questi Diego  Rivera che affermò che Tina venne avvelenata dallo  stesso Vidali in quanto  era a conoscenza delle sue attività illecite per conto  dei  servizi  segreti  russi.

Naturalmente è questa solo un'illazione che non trova nessun riscontro in nessun documento, per cui possiamo  solo  accontentarci  dell'epitaffio scritto  da Pablo  Neruda e che si può leggera sulla tomba di  Tina Modotti:

<< Tina Modotti, sorella,  tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo  cuore sente crescere la rosa di ieri,

l'ultima rosa rosa di ieri, la nuova rosa.

Riposa dolcemente sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua: ti  sei  messa una nuova veste di  semente profonda e il tuo  soave silenzio si colma di  radici.

Non dormirai invano  sorella...>>